LONTANO DA TUTTO E DA TUTTI, DIMENTICATO DA TUTTI: farsi prossimo in ospedale

LONTANO DA TUTTO E DA TUTTI, DIMENTICATO DA TUTTI: farsi prossimo in ospedale

Un giorno di qualche anno fa, quando ancora quasi tutte le strutture ospedaliere erano ubicate al Policlinico di Monteluce, ci venne segnalata la presenza di uno straniero al reparto di Medicina Interna, molto malato e con un carattere particolare, per cui anche l’azione dei volontari non era così gradita.

mano pospedale2Insieme a Giovanna, mia compagna di attività di sempre, presi contatto con la capo-sala e concordammo con lei la nostra prima visita. Ben presto sperimentammo che quel signore era un introverso, parlava pochissimo soprattutto di sé, anzi la nostra prima sensazione fu che fosse scocciato di quella nostra presenza. Ma noi, seguendo quello che è il compito di qualsiasi volontario ospedaliero, abbiamo insistito senza parlare troppo e senza ostentare la nostra presenza e siamo andati a trovarlo nelle settimane successive. Piano piano siamo riusciti a farlo sciogliere e allora ci ha svelato la sua identità (si trattava di un marocchino proveniente da Marrakech che passava i suoi giorni da “barbone” nella zona della Pallotta), ci ha informati dei suoi gravissimi problemi di salute. Il nostro compito prevede che, oltre a portare al malato una parola di conforto, lo aiutiamo a mangiare, soprattutto colui che non è autosufficiente ad espletare questa funzione vitale e così facevamo anche con il nostro assistito, ma lui mangiava per un pulcino.

La degenza andò avanti per settimane e settimane, finché le sue condizioni non peggiorarono e fu trasferito in rianimazione. La settimana successiva non andammo a visitarlo (la nostra presenza in rianimazione non è richiesta); andammo invece la settimana dopo per curiosità a domandare delle sue condizioni di salute; ci avvertirono che era deceduto proprio quello stesso giorno; ci fecero entrare per sapere se parlavamo della stessa persona. Era lui, praticamente procedemmo al suo riconoscimento; naturalmente nessuno lo aveva mai cercato, aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita da solo, lontano da tutto e da tutti, dimenticato da tutti, anche dai suoi parenti che dal Marocco non si erano mai fatti vivi.

Ha trascorso gli ultimi suoi giorni “peggio di un animale” e “peggio di un animale è morto”. Noi non siamo riusciti a sapere nemmeno dove l’hanno portato per la sepoltura; non possiamo portare neppure un fiore sulla sua tomba. E’ possibile che l’umanità arrivi a tanto? Quando avvengono cose inspiegabili con la logica umana ci vien fatto di dire:”Dio, ma dove eri?” ma, in questo caso ci viene più naturale domandarci: ”Uomo, Umanità dove eri?”.

 Francesco Seghetta, volontario APV